Oro nel DNA - Parte terza.

Facevamo esperienza: i saggi con la batea, che allʼinizio ci prendevano oltre dieci minuti, li facevamo in cinque, Avevamo provato ogni tipo di legno che ci sembrava adatto, ma il migliore rimaneva il palissandro: scuro e rugoso. Di assi ne avevamo quattro o cinque di larghezza diversa per usarli a seconda della portata che riuscivamo a incanalare, tutti tassativamente in obece. Lʼobece è chiaro ma noi per vedere meglio lʼoro, lo scurivamo con inchiostro di china diluito al 50% oppure con tinte allʼanilina e alcool scure. Lʼimportante è mantenere la superficie priva di qualunque pellicola. Vernici, stucco, colle o peggio silicone sono da evitare assolutamente, meglio lasciar riempire le giunzioni dalla sabbia e lasciare a questa il compito di fare da sigillante. Avevamo battuto tutti i torrenti e lʼunico mio rammarico ancora oggi, è quello di non aver separato fin dallʼinizio le pagliuzze a seconda della provenienza, un gran peccato. Molti di voi giustamente lo fanno, continuate così. SullʼOrco trovammo le placche più grandi e anomale (Figura 7), tutte sempre nella stessa punta, tra Rivarolo e Feletto, che ci aveva rivelato il vecchio Paolo e che continuammo a battere finché una piena furibonda non sconvolse, pochi anni dopo, tutta la zona. Da destra: 0,54g - 0,42g - 0,88g - 0,76g e 0,38g. La più grande è lunga 17mm.

 

pepite punta storica

 Ho sempre pensato che avessero tutte la stessa origine più che altro per lo spessore anomalo rispetto alla dimensione. La maggiore, (figura 8), mi ha sempre lasciato perplesso, ma il suo peso specifico risultò di 19,24 oro puro, naturale quindi, compatibile con piccole percentuali di altri minerali. È stata esposta, a più riprese, alle esposizioni dei minerali di Torino nella seconda metà degli anni ʼ70. Pesa 3,88g 19x19 mm con unʼaletta ripiegata (che non ho mai osato distendere) la vedete nellʼimmagine di sinistra a ore 11. Allʼepoca, risultava la più grande, di tipo alluvionale, mai trovata. Non so se sia ancora così. È passato un poʼ di tempo, me lo direte voi!

Campione Brusson

Nelle nostre esplorazioni, potevamo spingerci lontano, oltre la Serra, a perlustrare Elvo e Cervo ma alla fine, in un modo o nellʼaltro ritornavamo sullʼOrco.

Una domenica il tempo aveva volto al peggio già al mattino, pioveva parecchio: Di andare sul fiume non se ne parlava neanche: Lʼ Orco è caratterizzato da una pendenza media notevole nel tratto in pianura e, in caso di forti piogge, si ingrossa subito. Paolo ci portò sul ponte di Feletto a osservare la piena, a guardare se lʼacqua, nella alta sponda di destra (sinistra guardando verso monte), “fumasse”. Se la violenza della corrente in quel punto fumava, cioè nebulizzava, voleva dire che lʼacqua era abbastanza potente per portare nuovo materiale nellʼalveo.

In quel punto, (figura 9) la sponda è alta oltre venti metri ancora oggi e, un piccolo smottamento, equivaleva ad alcuni metri cubi di materiale naturale che franavano nellʼalveo.

dove l'acqua fuma

Con un tenore di 0,3 - 1,2 grammi al metro cubo, proprio del terreno alluvionale del Canavese, dopo due giorni di piogge intense poteva voler dire che, solo da quella sponda, solo da quel punto, finiva nel fiume qualche etto dʼoro che, dopo essere andato in sospensione insieme ai detriti, si sarebbe concentrato nelle punte a valle in attesa di qualcuno che andasse a recuperarlo.

Se pensate al tratto utile di un fiume aurifero piemontese, diciamo di una ventina di chilometri in media, potete fare voi il conto da soli.

Oggi i fiumi sono molto più addomesticati, lʼerosione non è quella di quarantʼanni fa e nemmeno quella degli anni trenta del secolo scorso, quindi lʼoro oggi, molto più di allora,  rimane lì dove lo lasciò il ghiacciaio qualche centinaio di migliaia di anni or sono,  sotto le nostre suole, nel terreno.

Eh sì, non ci avevate mai pensato in questi termini vero?

Considerando un conto veloce e approssimativo: solo per il Canavese, diciamo 25 km per 20 km per una profondità di 20 metri di terreno alluvionale (in alcune zone si arriva a 50), sono 10 miliardi di metri cubi di materiale e se consideriamo anche solo un tenore, basso e inverosimile, di cinque centesimi di grammo per metro cubo, il risultato fa paura: sono cinquecento tonnellate di pagliuzze dʼoro tra: grandi, giganti, microscopiche e piccine. E poi cʼè tutto il territorio del Biellese al di là della Serra dʼIvrea e oltre fino al Ticino.

Ma di cosa credevate fossero fatte le strade, i piazzali, i ponti, le scuole, i campi da tennis, gli aeroporti, le strade ferrate, le vostre case, con tutta quella ghiaia rappresa nel cemento o nellʼasfalto?

Di oro no?!

Provocazioni a parte, è troppo sparso, troppo in profondità, e ciò che vi sta sopra: manufatti, costruzioni, mais e grano e tutto ciò che abbiamo costruito e coltiviamo, vale milioni di volte di più, quindi non pensateci,  tanto non ve lo lascerebbero fare.

Sono certo che adesso però, guarderete i prati con un occhio diverso.

Spero, con questi miei tre articoli, tra il serio e il faceto, di aver incuriosito qualcuno e aver contribuito a rinverdire una memoria di uomini, mestieri e tempi ormai lontani che, per puro caso, mi capitò di percepire attraverso i racconti e la benevolenza di un vecchio.

Scusate se per colpa mia, negli anni settanta, dopo la pubblicazione della mia guida, si scatenò una minicorsa allʼoro di cui voi tutti siete gli eredi.

La mia famiglia è originaria di Pont Canavese, forse discendente dei Salassi o dei Victimuli che cercavano oro per conto dei Romani e quindi lʼoro ce lʼho nel DNA.

Il contagio era inevitabile, ma voi avreste potuto scamparla, se avete questa malattia, adesso sapete con chi ve la dovete prendere.

Prima di chiudere vi lascio, in figura 10, due anomale placchette che sono riuscito a distendere con cura senza ritrovarmi i frammenti in mano (cosa che succede di frequente in questi tentativi).

Placchette distese

 

Nella prima, in una delle parti interne che erano schiacciate a contatto, si notano macchie di ruggine, segnale di lunga permanenza statica in acqua vicino a corpi ferrosi. Nellʼaltra, si indovina la forma della vena da cui si è originata.

Ora tocca a voi provare e verificare, allenare lʼocchio e inventare soluzioni sperimentando e imparando da fiaschi e successi, e vedrete che anche questa è una componente bella e stimolante di questa passione.

 

Un ringraziamento particolare a Cercatori dʼoro Italia che mi ha dato lʼopportunità di rinverdire il passato e condividere, anche in questa sede, le mie esperienze.


Per la tecnica, gli strumenti, le nozioni indispensabili, fondamentali, ma sufficienti da sapere e da mettere in pratica, vi rimando alla riedizione della mia guida: La ricerca dellʼoro alluvionale nei fiumi piemontesi disponibile su Amazon.

Trovate la pagina Fb a questo link: Victimulus

E qui la guida stessa in formato cartaceo e digitale.

Buona lettura! Se vorrete.

 

"...e vedete di farne tanto".


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